Su suggerimento di un’amica, ho finito da poco di leggere uno dei classici della letteratura brasiliana dell’Ottocento, “O Cortiço”. Scritto da Aluísio Azevedo, pubblicato nel 1890 e tradotto anche in italiano, il romanzo è una delle opere principali del Naturalismo in Brasile. In effetti, descrive in modo crudo e spregiudicatamente realista le vicende di un cortiço carioca, ambiente urbano in cui un unico proprietario affitta, a ridosso delle sue attività commerciali, numerose mini-abitazioni umili e con servizi in comune a persone di classe sociale in genere molto bassa.
La storia è da una parte quella di João Romão, proprietario di un cortiço a Botafogo, il quale, pur di salire il più possibile nella scala sociale, non si fa scrupoli né a sfruttare il lavoro altrui né a privarsi di ogni spesa per mettere da parte ogni centesimo; dall’altra parte ci sono le vicende dei tanti abitanti, dai muratori immigrati alle lavandaie mulatte, che con le loro famiglie sopravvivono tra stenti e difficoltà.
Senza raccontare troppi dettagli del romanzo, vi dico solo che “O Cortiço” mi ha colpito per il suo coraggio nel descrivere senza censure la società brasiliana di quel periodo a partire dai personaggi creati dallo scrittore. È un libro che affronta temi come la schiavitù, le diseguaglianze economiche, l’alcolismo, il maschilismo e l’omosessualità e non è poco considerando l’anno in cui venne pubblicato. È un libro da cui riverberano i sogni di riscatto dei più poveri, che descrive le angustie dei diseredati, che denuncia le ipocrisie meschine, le avarizie, le piccole e le grandi invidie. “O Cortiço” è un libro che parla anche di come le persone siano capaci, consapevolmente o inconsapevolmente di trasformarsi alla ricerca di un cambiamento oppure per scelte dettate dalla disperazione o, ancora, per seguire desideri inconfessabili.
Usando un linguaggio moderno e innovativo, Aluísio Azevedo dipinge una Rio de Janeiro di fine Ottocento in cui i nuovi quartieri della zona sud della città erano in espansione e dove la cultura africana si stava mescolando con quella europea e con quanto di già propriamente brasiliano esisteva: la Rio del commercio di quartiere, delle rodas musicali e dei botequins che è cresciuta nel tempo, che in parte sopravvive ancora oggi e che ha le sue fondamenta in una terra zuppa e fumosa:
“E naquela terra encharcada e fumegante, naquela umidade quente e lodosa, começou a minhocar, a esfervilhar, a crescer, um mundo, uma coisa viva, uma geração, que parecia brotar espontânea, ali mesmo, daquele lameiro, e multiplicar-se como larvas no esterco”.
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Ho scoperto da poco quest’autore sentendone parlare da parte di una signora brasiliana che mi ha detto di averlo letto durante l’adolescenza e che proprio quest’opera la colpì molto più dei classici di Machado De Assis, il che è tutto dire. Perciò devo decidermi a leggerlo.
Ciao Massimiliano, te lo consiglio. A me è piaciuto particolarmente per lo spaccato che restituisce di una Rio de Janeiro del passato (neanche troppo lontano, se vogliamo). Buona lettura e grazie per il tuo commento!