È curioso e fa molto piacere che l’unica scuola di samba del Gruppo Speciale della Zona Sud della città, porti al Sambódromo un samba-enredo come questo. In occasione del Carnevale di Rio de Janeiro 2019 la São Clemente sceglie di veicolare un messaggio chiaro e importante: dove sta andando a finire il samba?
Lo fa ripescando uno dei samba-enredo di maggior successo della scuola, che risale al 1990. Allora la São Clemente presentò tra gli spalti della Sapucaí un pezzo intitolato “E o samba sambou…”, denunciando (già trent’anni fa!) le derive consumistiche della scena sambistica legata al carnevale.
Nel 2019, questo vecchio samba-enredo vivrà una seconda vita e l’operazione mi piace molto. Jorge Silveira, carnavalesco della São Clemente, ovviamente, gli ha dato nuova forma per adattarlo ai tempi. La sostanza, però, non cambia.
Le domande di un tempo sono sempre le stesse. Cosa ce ne facciamo di un carnevale in cui i gringos pagano biglietti a peso d’oro e gli abitanti delle comunità da cui provengono le scuole di samba hanno difficoltà a trovare posto? Cosa ce ne facciamo di un carnevale dove regna la vanità e in cui celebrità di tutto il mondo fanno a gara per avere i loro dieci minuti di gloria?
La denuncia della São Clemente non fa una piega. Il Carnevale di Rio de Janeiro rischia sempre più di trasformarsi in un baraccone guidato dal denaro e non dall’arte, dalla poesia e dalla cultura del samba.
C’è ancora tempo ma bisogna avere cura del samba, innaffiarne quelle radici che affondano nei luoghi più lontani possibile dall’esistenza patinata di chi desidera solo apparire. In fin dei conti, il samba altro non è che um antigo reduto de bambas (si potrebbe tradurre come “un antico luogo di incontro di gente poco raccomandabile”).




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